Nell’America della quasi piena occupazione, con una disoccupazione al 4,4% molto inferiore al 6,1% italiano o al 7,7% francese, internet trabocca di storie di professionisti qualificati con ottimi curriculum che, dopo aver perso il lavoro, non riescono a trovarne un altro nonostante un anno di tentativi e centinaia di candidature inviate.
Come scrive con amara ironia Business Insider, è più facile entrare ad Harvard, l’università più selettiva d’America, che trovare un impiego qualificato: se ogni candidatura ha solo lo 0,4% di possibilità di successo, mentre Harvard accetta il 3,6% dei candidati, qualcosa evidentemente non funziona. Questo denota come sia ormai sempre più chiaro come l’intelligenza artificiale stia cominciando a divorare lavoro intellettuale di medio livello su vasta scala e, come afferma il McKinsey Global Institute, il 40% dei posti nei ruoli intellettuali intermedi come personale amministrativo, assistenti legali e programmatori, svolgendo il 55% delle ore di lavoro complessive.
Tuttavia, l’IA ha anche un secondo impatto negativo, finora poco notato. I candidati in preda al panico moltiplicano le domande facendole costruire e distribuire su larga scala proprio dall’intelligenza artificiale, dando per scontato che dall’altra parte ci sia un’IA, quando, in realtà, così non è, dando origine così a posizioni qualificate che ricevono oltre 500 domande inefficaci, diffondendo frustrazione su entrambi i fronti del mercato del lavoro.
Leggi l’articolo completo America e AI: trovare un lavoro è più difficile che entrare a Harvard su Il Corriere della Sera.
Immagine generata tramite DALL-E 3. Tutti i diritti sono riservati. Università di Torino (20/07/2025).

