Dall’attentato dell’11 settembre, alle rivelazioni di Snowden, le storie sul regime di sorveglianza dominano sempre di più le cronache. Tuttavia, la sorveglianza non è solo qualcosa che subiamo, è anche qualcosa che facciamo nella vita quotidiana.
Ci arrendiamo alla sorveglianza, credendo di non avere nulla da nascondere, oppure cerchiamo di proteggere la nostra privacy o di negoziare le condizioni a cui altri possono accedere ai nostri dati. Allo stesso tempo, partecipiamo alla sorveglianza per controllare i nostri bambini, monitorare le persone in strada con noi e proteggere i nostri beni. I social media ci permettono di tenere d’occhio gli altri e noi stessi. Tutto ciò si configura come cultura della sorveglianza.
Il libro “The Culture of Surveillance: Watching as a Way of Life” esplora le immaginazioni e le pratiche della sorveglianza quotidiana. Il suo focus principale non sono tanto le operazioni di sorveglianza ad alta tecnologia, ma le nostre esperienze di sorveglianza quotidiane, che vanno da quelle casuali e superficiali a quelle intenzionali e mirate. L’autore David Lyon sostiene che è tempo di abbandonare le metafore orwelliane e di trovare quelle più adatte alla sorveglianza del ventunesimo secolo, come quelle di The Circle o di Black Mirror.
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