La crisi umanitaria e la sfida dell’identità
Migliaia di persone sono alla ricerca di sicurezza e di un futuro migliore e intraprendono rotte pericolose, spesso via mare, per emigrare in Europa, mettendo a rischio la propria vita. Un fenomeno complesso che racchiude al suo interno pressanti questioni umanitarie e bioetiche. I dati recenti sono, purtroppo, tragicamente eloquenti: negli ultimi dieci anni, oltre 30.000 persone hanno perso la vita nel tentativo di arrivare in Europa attraversando il Mediterraneo e un’elevata percentuale di queste vittime, stimata attorno al 78%, rimane senza nome, con oltre 23.000 corpi non identificati.
Questa “identità negata” è la conseguenza della difficoltà di identificare i corpi senza nome dei migranti irregolari in assenza di informazioni da parte dei loro familiari e conoscenti. Il processo di attribuzione personale di resti umani non identificati è, infatti, di tipo comparativo e può avvenire solo attraverso l’individuazione prima di compatibilità e poi di corrispondenza tra il profilo biologico di una salma e quello della persona scomparsa.
Durante l’autopsia vengono raccolte impronte digitali, DNA e informazioni dentali, che – coniugate con altri riscontri ugualmente utili, quali cicatrici, tatuaggi, cicatrizzazioni ornamentali, oggetti indossati – saranno poi comparate con le informazioni raccolte dai familiari che segnalano la scomparsa del loro congiunto. Queste informazioni, che chiamiamo dati ante mortem, consentono di filtrare fino a individuare il soggetto attraverso le corrispondenze e assenza di discordanze. Tipico esempio di successo di un’identificazione è la corrispondenza del DNA della salma con quello della madre o dei fratelli/sorelle consanguinei. Tuttavia, questa fase rappresenta la sfida più complessa dell’intero processo identificativo, perché se da una parte è disponibile il DNA della salma, non si conoscono le famiglie dalle quali ricavare profili genetici da comparare. Per lo stesso motivo la puntuale raccolta di impronte digitali dalla salma da identificare, sempre se non decomposta, trova il limite del fatto che non esiste una banca dati di impronte digitali della maggior parte dei migranti che provano ad arrivare in Europa per la prima volta. Il sistema pensato per gestire l’identificazione delle vittime di disastri (Disaster Victim Identification), che si avvale di documentazione medica e odontoiatrica, rivela dunque i suoi limiti più evidenti nel contesto della migrazione irregolare.

Nel 2023 è stato, quindi, avviato il progetto europeo Migrant Disaster Victim Identification (MDVI), attraverso la creazione di un gruppo di lavoro internazionale che coinvolge professionisti, accademici e organizzazioni umanitarie di 35 paesi, con l’obiettivo di sviluppare metodologie multidisciplinari e proporre soluzioni più efficaci per la raccolta dei dati ante-mortem dei migranti. Il progetto MDVI si distingue per il suo approccio che non si limita agli aspetti tecnico-forensi, ma pone le famiglie al centro, riconoscendo il loro diritto di conoscere il destino dei propri cari, come già evidenziavo nel 2012 pubblicando un articolo sui diritti umani dei migranti e dei corpi senza nome.
L’Odontologia Forense: un pilastro autonomo e indispensabile per l’identificazione
Nell’ambito dell’identificazione personale l’odontologia forense si configura come una disciplina essenziale e autonoma, in grado di integrare fonti di dati dentali e odontoiatrici, con particolare attenzione anche potenziale offerto dai social network. È una branca ormai specialistica che unisce competenze cliniche dell’odontoiatria con quelle della medicina legale e dell’odontologia forense.
L’odontoiatra forense non deve essere confuso con il medico legale, sebbene tra questi due professionisti ci sia una stretta e necessaria collaborazione. Tra gli ambiti di competenza dell’odontoiatra forense c’è l’identificazione dei resti umani, specialmente nei casi di decomposizione avanzata, carbonizzazione o immersione in acqua, che purtroppo rappresentano le più frequenti nelle tragedie migratorie.
L’autopsia odontoiatrica e antropologica è molto diversa dall’esame dentale che può svolgere un medico legale. L’apporto delle scansioni intra-orali 3D e della radiologia digitale, coniugata con l’analisi e l’interpretazione dei dati, consente di pervenire ad una identificazione ricostruttiva. Un contributo fondamentale che solo un odontoiatra forense può offrire, anche attraverso teleconsulenze secondo il protocollo della cosiddetta “virdentopsy”.
Il dente, essendo il tessuto umano più resistente, protegge il DNA per lunghi periodi, permettendo l’estrazione e la comparazione del profilo genetico anche in contesti estremi e fornisce informazioni essenziali per la definizione di un profilo biologico generico, come ad esempio la stima dell’età dentale e la profilazione geografica, indipendentemente dalla presenza di cure odontoiatriche.
L’identificazione dei migranti deceduti presenta i limiti della quasi totale assenza di dati ante-mortem ufficiali, come cartelle cliniche dentali o impronte digitali, a causa delle condizioni socio-economiche dei Paesi d’origine e del viaggio stesso. La sfida include anche la difficoltà di comunicazione con le famiglie, spesso residenti in Paesi colpiti da conflitti e la riluttanza degli stessi familiari ad interagire con le autorità per paura di conseguenze giudiziarie.
Per chiarire visivamente le differenze, si propone un confronto tra il protocollo DVI standard e le sfide uniche dell’MDVI (tabella).

Oltre il dato odontoiatrico: analisi del cranio, del volto e l’innovazione digitale
L’odontoiatra forense potrebbe superare le limitazioni dei protocolli attuali, espandendosi oltre la semplice comparazione di dati clinici. Un’opportunità fondamentale risiede nell’analisi del cranio stesso. La sovrapposizione cranio-facciale è una tecnica che permette di confrontare l’immagine di un cranio recuperato con le foto ante-mortem del presunto individuo. Questo metodo, sebbene abbia storicamente avuto limiti, sta conoscendo un notevole sviluppo grazie a nuove metodologie e all’uso dell’intelligenza artificiale. L’odontoiatra forense, così come l’antropologo fisico, rappresenta l’esperto più qualificato per eseguire una tale analisi.
La proposta, tuttavia, più innovativa e promettente per affrontare la carenza di dati ante-mortem è rappresentata dall’integrazione delle informazioni disponibili sui profili social dei migranti. Spesso, nonostante la perdita di documenti ufficiali, le vittime portano con sé dispositivi digitali, come i cellulari, che contengono una vasta quantità di dati personali e identificativi. Piattaforme come Facebook e Instagram sono fonti inesauribili di fotografie del viso, che possono essere utilizzate come dati ante-mortem.
Il sorriso, in particolare, offre un’opportunità unica. Una fotografia che mostra un sorriso, magari in un selfie, può fornire una base per la sovrapposizione cranio-facciale, ma anche per identificare caratteristiche dentali univoche che fungono da caratteri identificativi secondari, come un piercing, una protesi dentale visibile o diastemi e malposizioni dentali. L’iniziativa “IDENTIficami” e l’app “Selfie Forensic ID”, sviluppate dalla Sezione di Medicina Legale dell’Università degli Studi di Torino, rappresentano un esempio concreto di come raccogliere e condividere informazioni dentali e del sorriso quale ausilio al riconoscimento.
L’approccio innovativo si basa su un cambiamento di paradigma: non già solo la raccolta di informazioni odontoiatriche attraverso cartelle cliniche, ma anche di informazioni dentali o correlate ai denti.
L’intelligenza artificiale nell’identificazione odontologico-forense
Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale ha aperto nuovi scenari anche nell’odontologia forense, sia per la stima dell’età che nell’identificazione personale. Esistono già numerosi gli algoritmi avanzati in grado di segmentare automaticamente i denti su radiografie panoramiche delle arcate dentarie e di supportare la stima dell’età biologica attraverso un’analisi accurata e rapidità, la cui interpretazione finale resta affidata al perito odontoiatra.
Parallelamente, il riconoscimento facciale e biometrico basato su IA permette già di confrontare i volti estratti dai social media con le immagini post-mortem disponibili, facilitando la ricerca di corrispondenze laddove manchino dati ufficiali. In un contesto come quello migratorio, dove spesso le uniche tracce di identità sopravvivono proprio nei profili social, queste tecnologie – con tutte le necessarie cautele relative a privacy e tutela dei dati sensibili – rappresentano un’opportunità preziosa per superare i limiti dei protocolli attuali. L’utilizzo dei social network, integrato con l’IA, le immagini ritratto e il canale “Trace the Face” della Comitato Internazionale della Croce Rossa, che raccoglie le fotografie dei migranti desiderosi di ricongiungersi con i propri familiari, rappresenta una possibile risposta innovativa ed efficace a questa sfida.

Conclusioni: I resti umani non identificati non sono rifiuti
L’identificazione delle vittime della migrazione è un imperativo morale e umanitario che richiede un approccio integrato tra scienze forensi e azione umanitaria. L’odontologia e l’antropologia forense offrono gli strumenti tecnici e analitici per affrontare la sfida dell’identificazione dei corpi senza vita. Restituire il nome e l’identità a un corpo è solo il primo passo per il rispetto dei diritti umani di una persona, da viva come da morta. A questo si accompagna il supporto alle famiglie in attesa e l’avvio del processo di ricongiungimento familiare. In questo percorso, le associazioni di volontariato, in particolare la Croce Rossa Italiana e le altre società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, diventano non solo complementari, ma indispensabili. Attraverso il loro impegno nel “Restoring Family Links”, queste organizzazioni forniscono il supporto psicologico e facilitano il contatto diretto con i parenti, chiudendo il cerchio tra l’identificazione e ricongiungimento familiare.
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- Trace the Face, Red Cross and Red Crescent website which helps migrants and their families reconnect. https://tracetheface.familylinks.icrc.org/?lang=en
Immagini generate tramite ChatGPT. Tutti i diritti sono riservati. Università di Torino (2025).

