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Magazine Intelligenza Artificiale: l'IA è più di quello che appare

Magazine Intelligenza Artificiale: l'IA è più di quello che appare

Il riduzionismo epistemologico dell’IA: dalla ‘bio-intelligenza’ alla ‘tecno-intelligenza’

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L’intelletto umano filosoficamente si articola in intelletto ‘intuitivo’, ‘operativo’ e ‘comprendente’ (intelligenza). Ad esso è stato tradizionalmente associato la facoltà di pensare, non solo quanto si apprende attraverso i sensi, ma anche in senso astratto e dinamico attraverso l’immaginazione. Inizialmente l’endiadi ‘intelletto-ragione’ ha prodotto una visione fissista della conoscenza. La sua integrazione con l’endiadi ‘intelletto-coscienza’ ne ha promosso una visione evoluzionistica. La conoscenza umana, attuata dall’intelletto intuitivo, apprende attraverso i sensi, procede all’astrazione dell’oggetto conosciuto, lo pensa con forme immaginative e fantasmatiche, filtrate attraverso il flusso della coscienza e lo giudica per mezzo delle “leggi a priori” (principi primi), costitutive del suo stesso funzionamento.

L’intelletto ‘operativo’ (facoltà di fabbricare oggetti artificiali e in particolare utensili per fare utensili e di variarne indefinitamente la fabbricazione) ha la capacità su base istintuale di utilizzare strumenti organizzati. Nell’attuazione di questa facoltà la conoscenza resta pur sempre quella dell’intelletto ‘intuitivo’, che presiede alla funzione pragmatica dell’intelletto ‘operativo’. Infine, l’intelletto ‘comprendente’ realizza la capacità di afferrare il significato di un simbolo, la forza di un argomento, il valore di un’azione… e di coglierne correttamente i rapporti in base all’uso stabilito o alla regola opportuna. Questo è il processo che comunemente chiamiamo ‘intelligenza’.

Michael Polanyi, nel suo celebre The Tacit Dimension (1966), sintetizza l’idea che “sappiamo più di quanto possiamo dire”. Questa conoscenza tacita si manifesta in abilità come riconoscere un volto, suonare uno strumento musicale o compiere gesti complessi: è un sapere che sfugge alla formalizzazione e che non può essere tradotto interamente in regole esplicite. La conoscenza tacita, radicata nell’esperienza incarnata e nella sensibilità al contesto, rappresenta una chiave per comprendere le dimensioni che superano la pura razionalità (P. SGRECCIA, Métron e Métrion: chiavi per pensare l’intelligenza artificiale).

In un agente digitale robotico, privo di coscienza o eventualmente dotato di una ‘coscienza artificiale’, la conoscenza sarà unicamente quella della ‘tecno-intelligenza’, che intendiamo come la capacità di formulare una scelta (non un giudizio) a partire dalla struttura della sua rete neurale, addestrata su un set di dati, dove i ‘principi primi’ (simulati dai bias cognitivi) non sono ‘forme a priori’ connaturali all’organismo vivente umano incarnato, ma il risultato ‘a posteriori’ del processamento probabilistico-statistico degli algoritmi di machine learning. Un robot è privo di empatia, di sentimenti quali la gioia, l’amore, l’odio, non conosce l’ironia, il riso, il pianto, il silenzio, la preghiera… perché manca della conoscenza tacita. Pur essendo in grado di modellizzarla non riesce, tuttavia, ad esprimerla. Esso manca della capacità semantica propria degli umani, perché la sua ‘tecno-intelligenza’ ha una forma eminentemente ‘razionale’ ed è espressa come ‘prodotto’ dell’intelligenza umana.

“Occorre ricordare che l’IA non è altro che un pallido riflesso dell’umanità, essendo prodotta da menti umane, addestrata a partire da materiale prodotto da esseri umani, predisposta a stimoli umani e sostenuta dal lavoro umano. Non può avere molte delle capacità che sono specifiche della vita umana, ed è anche fallibile. Per cui, ricercando in essa un “Altro” più grande con cui condividere la propria esistenza e responsabilità, l’umanità rischia di creare un sostituto di Dio. In definitiva, non è l’IA a essere divinizzata e adorata, ma l’essere umano, per diventare, in questo modo, schiavo della propria stessa opera” (DICASTERO DOTTRINA DELLA FEDE – DICASTERO DELLA CULTURA E DELL’EDUCAZIONE (EDD.), Antiqua et nova. Nota sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana, n. 105).

La ‘memoria’ umana filosoficamente è costituita da due condizioni o momenti distinti: a) la conservazione o persistenza di una certa forma delle conoscenze passate: questo momento è la ritentiva); b) la possibilità di richiamare, all’occorrenza, la conoscenza passata e di renderla attuale o presente: che è propriamente il ricordo. Questo ha un carattere attivo o volontario, mentre il primo è passivo. Nella sua dimensione ritentiva la ‘memoria’ è il “ventre dell’anima” (Agostino) o anche “il tesoro e il posto di conservazione della specie” (Tommaso d’Aquino). Bergson ha detto che la memoria non consiste nella regressione tra il presente e il passato, ma al contrario nel progresso dal passato al presente. Il ricordo si materializza in una appercezione attuale, in cui diviene uno stato presente e attuale. In questo senso la ‘memoria’ ha un carattere attivo e si giova della funzione della volontà (appetizione razionale e sensibile), che innesca il meccanismo associativo. Per Hegel la ‘memoria’ si estrinseca ed esiste nel pensiero.

Un agente digitale robotico, dotato di algoritmi di machine learning e collegato a una rete di data center (big data), disporrà di una vastissima memoria ritentiva, costituita principalmente da dati archiviati nell’era digitale (dagli anni ’50 del secolo scorso in avanti). Ne discende che la scelta dell’algoritmo (ricordo) dipenderà in una forma esternalizzata dal mainstream omologato e confezionato dalle piattaforme digitali dominanti. Secondo il sociologo australiano Anthony Elliot la decisione degli algoritmi di IA è esternalizzata e del tutto autonoma dal decisore umano (A. ELLIOT, La cultura dell’intelligenza artificiale. Vita quotidiana e rivoluzione digitale).

I data center, infatti, sono per lo più privi di ‘memoria lunga’ e danno in pasto ai loro algoritmi prevalentemente la profilazione del traffico della rete e i dati archiviati dagli utenti sulle piattaforme digitali. Sicché la ‘memoria digitale’ dei robot, pur nella sua vasta estensione spaziale, è costituita da mega archivi digitali, processati da compulsivi data analyst, che hanno una ‘memoria corta’. In tal senso ciò che si materializza nell’‘appercezione’ dell’algoritmo non è espressione dello spirito umano, frutto dell’evoluzione filogenetica di homo Sapiens, che ha una preistoria remotissima, ma l’omogeneizzato digitale del pensiero unico e dominante dei ‘detentori/accumulatori’ di dati seriali dell’ultimo cinquantennio (homo technosapiens).

Riferimenti bibliografici

DICASTERO DOTTRINA DELLA FEDE – DICASTERO DELLA CULTURA E DELL’EDUCAZIONE (EDD.), Antiqua et nova. Nota sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana, Città del Vaticano, Roma 28.1.2025.

A. ELLIOT, La cultura dell’intelligenza artificiale. Vita quotidiana e rivoluzione digitale, Codice edizioni, Torino 2021.

P. SGRECCIA, Métron e Métrion: chiavi per pensare l’intelligenza artificiale, in: https://magia.news/metron-e-metrion-chiavi-per-pensare-lintelligenza-artificiale/ (ultimo accesso il 2.2.2025).

Immagini generate tramite DALL-E

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