La mostra Virtual Beauty, accessibile a partire dal 23 luglio presso la Somerset House, esplora come la tecnologia abbia trasformato gli ideali di bellezza e l’immagine che le persone hanno di sé nell’era digitale.
Hanno partecipato più di 20 artisti internazionali a questa esposizione, che indaga l’impatto dell’IA, dei social media e delle identità virtuali sul modo in cui le persone percepiscono e modificano se stessi. Al centro ci sarebbe un fenomeno chiamato “Snapchat dysmorphia”, termine che descrive chi ricorre alla chirurgia estetica per assomigliare alle versioni migliorate da filtri e IA dei propri selfie.
L’artista Qualeasha Wood, ad esempio, racconta la pressione esercitata dai modelli estetici digitali, contrapponendo a immagini e messaggi aggressivi tratti dal web la solidità e la lentezza del mezzo tradizionale come, ad esempio, quello tessile, tipo gli arazzi. Il suo lavoro punta a mostrare come oggi la bellezza non sia più legata solo a come le persone si vedono, ma anche a quanto vengono osservate, valutate e apprezzate online.
Il percorso si apre con le operazioni chirurgiche dell’artista francese Orlan che, negli anni ’90, ha modificato il proprio corpo come atto performativo. Poi, ci sono opere come la scultura pi(x)el di Filip Ćustić, che consiste in un corpo femminile in silicone ricoperto da schermi, che intendono rappresentare la fusione crescente tra corpo e tecnologia. L’artista Mat Collishaw, invece, lavora con l’IA per rappresentare scene futuristiche in cui le macchine superano l’intelligenza umana.
La mostra Virtual Beauty invita a riflettere se la bellezza digitale sia una nuova forma di espressione o una prigione invisibile, in cui le persone continuano a inseguire modelli irraggiungibili creati da altri, o da qualcosa che non è più possibile comprendere.
Leggi articolo completo: Cyborgs, snapchat dysmorphia and AI-led surgery: has our digital age ruined beauty? su theguardian.com.
Immagine generata tramite DALL-E 3. Tutti i diritti sono riservati. Università di Torino (18/05/2025).

